Primo Levi: quello era un uomo

Plaça Walter Benjamin

Plaça Walter Benjamin a Berlín. Eric Vàzquez i Jaenada

Madrid, 7 ottobre 2019

Primo Levi: quello era un uomo

In risposta alla domanda se quello era un uomo, posso rispondere di sì: quello era un uomo. Lui era un uomo buono, riflessivo, libero; insomma, un essere umano. Nato nel Borgo del Fumo, Torino non era la sua patria e di certo, neppure il Bel Paese, bensì un mondo senza paura, senza ingiustizia e senza guerra. Purtroppo, quando era giovane, c’era il fascismo. E dato che voleva un’altra Italia, ha preso parte al movimento partigiano. Qualcuno potrebbe dire come continua questa storia, che cominciava con una stella gialla sul petto e un numero tatuato sul braccio: 174.517.

Dopo il ritorno da Auschwitz, ha scritto le sue esperienze personali. La sua è una prosa innocente, trasparente, spoglia da parole superflue, perché racconta quello che ha vissuto in prima persona, quello che non è facile di ascoltare: il male che si trova dentro di noi.

Nonostante l’inferno, la irrazionalità e la disumanizzazione nel lager, lui non ha perso mai la dignità. Come tanti altri scrittori che hanno sofferto il nazismo (Stefan Zweig, Sarah Kofman, Paul Celan, Jean Améry e Walter Benjamin) è morto suicida nella sua città natale. Non ha lasciato lettera di addio, però credo che le sue opere, la sua testimonianza della barbarie e la sua lotta per la libertà degli uomini e delle donne siano oggi la nostra eredità e saranno il patrimonio dei nostri nipoti.

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